Come floridiana sento anzitutto il dovere di elevare un pensiero commosso ai due storici della nostra Floridia, Anton Maria Ernesto Curcio che nel 1896 pubblicò “Floridia attraverso la storia” e Vittorio Guardo che nel 1953 pubblicò “Floridia. Genesi, sviluppo e vita ai margini della storia di Siracusa”, salvando così per i posteri gli avvenimenti del nostro passato che lo scorrere del tempo avrebbe inesorabilmente cancellato. Le memorie ci aiutano a vivere consapevolmente il presente e a preparare stabilmente il futuro. Francesco Scaglia così scrive nell’opera “Il custode dell’acqua”: “La memoria è la nostra coerenza, la nostra ragione, il nostro sentimento, perfino il nostro agire. Senza di essa siamo nulla”. Vogliamo, perciò, stasera dedicare un poco di spazio agli ultimi due secoli del millennio da poco trascorso.
Floridia tra Ottocento e Novecento
Il nostro borgo, che ebbe il nome di Xiridia o Sciridia, come si voglia chiamare, era sorto nel diciassettesimo secolo con la “licentia populandi”, cioè con l’autorizzazione a popolare un determinato territorio, concessa a don Lucio Bonanno Colonna e alla moglie donna Flavia Bonaiuto il 31 marzo 1627. Non era stato difficile ottenerla, data l’ubicazione del luogo a circa nove miglia da Siracusa e sulla strada di passaggio per tutti coloro che abitavano nei paesi dell’entroterra. Prima ancora che sorgesse il borgo vi era la chiesa di San Bartolomeo a cui era stato concesso il beneficio di celebrare la messa nella domenica e nei giorni festivi, accanto vi era un fondaco dove sostavano a riposarsi coloro che venivano dai paesi montani.
In virtù della “licentia populandi” i feudatari di Floridia poterono assegnare terre da coltivare a uliveti e frutteti e costruire accanto alla chiesa case con la facciata di 24 palmi di vacante (poco più di sei metri) affiancate le une accanto alle altre su un asse a pianta quadrangolare corrispondente alle attuali via Roma e corso Vittorio Emanuele, al centro delle quali si trova quella che viene considerata la prima casa di Floridia, dove si vede ancora uno stemma con la legenda “Antonio Agnello aedificavit Anno Domini 1627”. Il maggior numero di coloro che popolarono il borgo venivano dalle vicine Siracusa e Melilli, alcuni dalla Calabria e dall’isola di Malta.
Già nel primo decennio di vita erano sorte quattro strade: Bonanno, Colonna, Perno, Lu Burgu. Esistevano anche botteghe e magazzini; ben presto la popolazione crebbe e, a sopperire alle varie esigenze dei coloni, vennero a stabilirsi nel borgo diversi artigiani, un medico e uno speziale. A poco più di un decennio dalla fondazione nel 1628, secondo quanto attesta il nostro storico Vittorio Guardo, Floridia aveva già un centinaio di case. Il 24 agosto 1633 si riunì il primo consiglio cittadino formato da quarantacinque capifamiglia.
Ovviamente il borgo, che aveva avuto una così rapida crescita, ebbe sempre la tendenza a svincolarsi amministrativamente dalla vicina Siracusa e di questi contrasti giuridici è intessuta la storia dei decenni che seguirono.
I duchi che si succedettero furono tutti molto legati a Floridia e vollero che fossero sepolti nella Matrice Chiesa o nelle altre chiese vicine; fu così anche per la nobile Polisena Landolina che è ancora oggi ricordata nella strada che da lei porta il nome.
E arriviamo ora ai tremendi fatti del 1837. Fino ad alcuni anni fa era molto diffuso tra noi un detto popolare, “successi ‘n trentasetti” che si usava per indicare uno sconvolgimento. In realtà il 1837 fu per l’Intendenza di Siracusa e per il Comune di Floridia un anno di tragici accadimenti in cui l’ignoranza, la malafede, la perfidia, e la violenza si scatenarono in un pauroso conflitto. L’occasione fu data dal diffondersi del colera che nell’ottobre del 1836 da Malta aveva raggiunto la Sicilia; si disse che era “buttato” e che la colpa era del governo borbonico che aveva interesse a fare diminuire la popolazione. Questa versione era sostenuta dalla Carboneria che aveva una “vendita” presieduta dal barone Giuseppe Mazzarella e diretta dai fratelli Giuseppe e Mario Greco; un punto di riferimento era lo studio notarile di don Raffaele Carbonaro situato in via Roma nella casa a cui abbiamo poco fa accennato come prima casa di Floridia; qui circolavano segretamente giornali e manifesti liberali, alcuni dei quali giungevano da Malta. Per evitare il contagio erano venuti a rifugiarsi a Floridia il Segretario della Procura Generale don Gaetano Pandolfo e il Presidente della Gran Corte Criminale don Giuseppe Ricciardi con la famiglia. La sera del 18 luglio giunse una lettera portata da un mulattiere che veniva da Siracusa dove si diceva che Pandolfo e Ricciardi avevano portato veleni a Floridia. A quella notizia si scatenò la caccia agli avvelenatori. Il Pandolfo riuscì a fuggire dal paese, ma fu raggiunto e fucilato, gli fu staccata la testa e appesa ad un albero. Il Ricciardi tentò di rifugiarsi nella Chiesa Madre, ma non vi riuscì, verso la mezzanotte fu raggiunto nella sua casa e, mentre cercava di evadere dalla parte dell’orto, fu colpito alla nuca da un colpo di scure e finito a fucilate. Il 20 luglio si doveva iniziare il processo ai sospettati che erano stati chiusi in carcere, ma la folla, esasperata dagli indugi, aprì le porte del carcere, fece uscire gl’imputati che furono appesi alle stacce accanto alla Chiesa Madre e fucilati, tra questi c’era anche una donna soprannominata “Cucuzzina”. Non tardò a giungere la reazione borbonica, Ferdinando II affidò al marchese Del Carretto il compito di ristabilire l’ordine in Sicilia. Furono tredici le condanne a morte, alcune col secondo grado di pubblico esempio che consisteva nel fare indossare ai condannati una tunica gialla e farli passare per le vie dell’abitato tra la folla che li beffeggiava e li maltrattava. Fra questi c’era il notaio Giuseppe Greco che riuscì a fuggire. Le guardie cercarono di costringere la moglie donna Marianna Colosa a dire il luogo del suo nascondiglio, torturando il figlioletto che lei teneva tra le braccia stringendolo con dei lacci, ma donna Marianna era straordinariamente forte e non parlò. Fu il marito a costituirsi per salvare il bimbo, però non arrivò a subire l’ignominia perché, accordatosi segretamente con la moglie, si fece portare in carcere una tazza di caffè in cui lei aveva propinato una forte dose di veleno.
Fra gl’indiziati ci fu anche don Raffaele Carbonaro perché erano stati trovati dei manifesti carbonari nel suo ufficio notarile, ma ebbe il buon senso di andarsi a costituire spontaneamente. Fu tenuto per qualche giorno nella prigione del Castello Maniace, però riuscì a dimostrare la sua mancanza di responsabilità nella vicenda e fu rilasciato. Due anni dopo, nel 1839, fu a capo del Consiglio dei Decurioni. A lui si deve la costruzione del primo cimitero di Floridia nella zona est del Cozzo Santuzzo, in ottemperanza al decreto che vietava il seppellimento dei morti nelle chiese, giunto con molto ritardo nell’Intendenza di Siracusa. S’impegnò anche perché fosse continuata la strada rotabile che da Floridia porta a Siracusa, “opera di tanta utilità”, come viene definita nella seduta decurionale del 17 luglio1841.
Gli eventi del 1848 ebbero anch’essi la loro ripercussione nella piccola storia della nostra Floridia. Si costituì un Comitato Liberale presieduto dal barone Gaetano Mazzarella e una Guardia Nazionale presieduta dal notaio Ambrogio Greco, sul campanile della Chiesa Madre fu innalzata la bandiera tricolore. L’esito infelice della prima guerra d’indipendenza determinò la reazione immediata del governo di Ferdinando II, ma questa volta la reazione fu meno dura; pagarono ancora i membri della famiglia Greco: Ambrogio e i cugini Ignazio ed Agatino furono relegati nelle dure prigioni dell’isola di Favignana, dove Ambrogio morì di dolore e di stenti.
La seconda guerra d’indipendenza, che si svolse tra l’aprile e il luglio del 1859, ebbe un valoroso combattente che Floridia ha l’onore di ricordare, Carlo Beltrami. Era nato a Castelbosco in provincia di Reggio Emilia il 29 ottobre 1841. Appena diciottenne, nella prima guerra mondiale si arruolò volontario nell’esercito piemontese e combattè eroicamente meritando la medaglia al valor militare. Volle poi restare nell’esercito, prima come soldato di fanteria e poi come carabiniere. Quando fu istituita a Floridia la prima caserma dei carabinieri fu mandato qua e vi rimase ed aprì una piccola bottega, “a putia di don Carru u cuntinintali” all’angolo tra la via Archimede e la via Romagnosi, vendendovi tabacchi e altra merce, ancora attiva e molto frequentata.
Intanto gli eventi incalzavano. L’ultimo verbale dei nostri decurioni porta la data del 6 maggio 1860. Cinque giorni dopo Garibaldi sbarcava a Marsala e iniziava la conquista della Sicilia. Mentre i volontari di Garibaldi avanzavano verso Siracusa, che era presieduta dalle truppe borboniche, Antonino Monteforte, governatore del distretto, fissò provvisoriamente la sede dell’amministrazione a Floridia. Don Gaetano Ierna e don Sebastiano Curcio, il padre del nostro storico, s’incaricarono di mantenere l’ordine nella cittadinanza. Sull’alto del palazzo comunale fu issata la bandiera tricolore e, quando si tennero i plebisciti per l’annessione il 21 ottobre 1860 su 486 votanti vi furono 486 sì. Anche la presa di Roma fu seguita con grande entusiasmo e nella seduta del 9 marzo 1871 il sindaco dott. Franzo Greco ordinò che alle 10 del mattino del giorno seguente fosse cantato solennemente nella Chiesa Madre l’inno ambrosiano e la sera un corteo di autorità, seguito dal popolo, sfilasse per la via principale del paese splendidamente illuminata. A questo proposito dobbiamo ricordare che in quel tempo non esisteva l’illuminazione elettrica, le strade più importanti venivano rischiarate da fanali che due impiegati del Comune, definiti nei documenti “illuminatori”, avevano il compito di accendere sull’imbrunire e spegnere verso le due di notte.
Nei tempi lontani gli amministratori del borgo si riunivano nella Chiesa Madre, successivamente in una vecchia casa del Corso presa in affitto. Nella seduta del 6 aprile 1851 fu decisa la costruzione di una casa per la Cancelleria Comunale nel “Casaleno diruto della stessa comune” che si trovava nel luogo dove sorge ora il palazzo di Città. I lavori andarono piuttosto a rilento, ma già nel 1872 l’edificio doveva essere ultimato perché in una delibera di quell’anno si provvedeva all’acquisto del mobilio per l’arredamento. Un’ampia parte del pianterreno fu adibita per il teatro, che fu costruito sul modello del San Carlo di Napoli e riuscì un vero gioiello,adornato di stucchi dorati e di tappezzerie di velluto rosso granato. Fu sede di manifestazioni d’arte e di cultura, sul suo palcoscenico diedero spettacolo compagnie di grande prestigio, sia per l’opera lirica, sia per il teatro di prosa, vi recitò anche il grande Angelo Musco. Nel tempo le amministrazioni comunali curarono restauri e ritocchi, poi l’interesse cadde e la cura venne meno. Attorno alla metà degli anni ’60 un’amministrazione comunale, preoccupata del progresso cittadino, ne decretò la demolizione. Al suo posto sorse una vasta sala consiliare.
Un’opera imponente fu la costruzione del ponte Mulinello che sovrasta il torrente anticamente detto della galera e mette in comunicazione Floridia con la strada provinciale Siracusa – Canicattini. L’appalto fu dato nel 1879, i lavori furono ultimati nel 1884.
Gli inizi del Novecento furono segnati da un evento negativo, un’alluvione, che danneggiò molte case della nostra Floridia; anche in questa circostanza l’amministrazione comunale si adoperò per venire incontro alle famiglie che erano state maggiormente colpite.
Un’opera importante fu il basolamento in masselli di pietra lavica della parte centrale del Corso dalla via San Martino alla via Alfieri per una spesa di lire 61.100, i lavori furono iniziati nel 1902 ed ultimati verso la fine del decennio. Nello stesso torno di tempo fu sistemato lo spazio antistante il palazzo del Comune, ancora occupato da un vecchio frantoio, in una piazza a pianta quadrata, ornata agli angoli da quattro bellissimi candelabri di ghisa circondati da aiuole protette da canestri in ferro battuto, fu denominata Piazza del Popolo, ma la gente la chiama affettuosamente “la piazzetta”.
In questo stesso periodo si diede a Floridia l’avvio della chiesa protestante metodista, che è ancora frequentata da alcune famiglie che praticano il culto in una casa a pian terreno del Corso.
Nel contempo il Consiglio Comunale era agitato dalla discussione di un problema che si affacciava anche a Floridia: l’illuminazione elettrica. Il sindaco avv. Antonino Faraci era per il progresso, ma il consigliere avv. Midiri era contrario e sosteneva che era ” un’opera di lusso e sarebbe stata la rovina del paese”. Il consiglio cadde e il comune per alcuni mesi fu commissariato. Il 21 dicembre del 1913 si fecero le elezioni e fu eletto sindaco con ventotto voti su trenta il notar Giuseppe Carbonaro che s’impegnò ” ad animare il paese per la via del progresso”. In realtà, agendo con acume e prudenza, riuscì a risolvere le varie e complesse difficoltà e così Floridia ebbe l’illuminazione elettrica: scomparvero i lumi e le lampine ad olio e la sera in tutte le case si potè avere la luce spostando la chiavetta dell’interruttore. Anche le famiglie più modeste si poterono giovare di questa innovazione, utilizzando il sistema “fortfait” per cui si poteva accendere una sola lampadina o nella camera “davanti” o nella camera “darreri” e la spesa era molto modica.
Molti anni dovettero invece passare per avere l’impianto idrico, solo nel 1930, utilizzando le sorgenti Paolazzo e Santanna si potè avere l’acqua, scomparve così l’acquaiolo che, passando per le strade del paese, vendeva l’acqua e scomparvero anche i pozzi che, fiancheggiati dalle pile, troneggiavano negli orti delle case di Floridia.
Il secondo decennio del Novecento fu funestato dalla prima guerra mondiale. Anche nel nostro Comune si sentirono pesantemente le conseguenze del grave conflitto. Crebbe il numero delle famiglie povere perché gli uomini atti alle armi erano partiti per il fronte né i sussidi dati dal Comune riuscivano a fronteggiare la situazione. E tuttavia, dopo la disfatta di Caporetto, quando alcuni profughi giunsero anche a Floridia, gli “udinisi” come furono chiamati allora, furono accolti in molte case e assistiti dagli enti pubblici e dai cittadini privati. Gli ultimi mesi del 1918 furono durissimi anche per un altro evento, l’epidemia della “grippe spagnola” che mietè molte vittime. E finalmente giunse il telegramma della vittoria: “Oggi tre novembre le nostre truppe di terra e di mare sono vittoriosamente entrate a Trento e a Trieste”. La popolazione si riversò per le strade sventolando bandiere e gridando evviva. Nel 1934 Floridia volle onorare i caduti in guerra; sul frontespizio dell’Istituto di Beneficenza su quattro lastre di bronzo furono scritti i loro nomi: il nostro Comune aveva dato alla Patria 216 dei suoi figli.
Negli anni che seguirono vi fu un grande risveglio economico ed aumentò notevolmente la produzione dell’agrocotto nelle fabbriche di Di Pace e di Gallitto e la spedizione della “ntrita”, cioè delle mandorle sgusciate.
Alla fine del 1921 il Comune fece una ricognizione dell’abitato, su questi dati si potè calcolare che la popolazione era di 16.000 abitanti. Nel 1922 l’Ascensione, che è la festa principale del nostro paese e risale ai tempi del borgo, fu celebrata con ben quattro bande musicali di Floridia, di Solarino, di Canicattini e di Sortino.
Il ventennio fascista portò qualche modifica anche nel nostro Comune, si costituì la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, si aprì la Casa del Fascio in un locale a pianterreno del palazzo del Comune, si organizzarono le varie associazioni che inglobavano tutta la popolazione dai Figli della Lupa alle Giovani e ai Giovani Fascisti, si organizzarono le grandi sfilate, si celebrarono la battaglia del grano e la festa dell’uva, si mandarono i bambini bisognosi alle colonie marine e montane, si fece per loro la festa della Befana Fascista. Si cercò di combattere la tubercolosi che in quel tempo era una piaga pubblica e il tracoma, “l’occhi malati” in ambulatori mantenuti dal Comune.
Nel 1931 troviamo alla guida del Comune un nuovo podestà, il maggiore Antonio Galfo. A lui si deve la sistemazione della toponomastica di alcune zone del paese per cui il viale della stazione ebbe il nome di Viale Vittorio Veneto e alcune traverse del Corso dalla parte del corso che va verso Siracusa portarono i nomi di alcuni caduti nella guerra del “15-18”, la piazza del Carmine, che si allargava dalla parte del “Ghiannarello” (forse lì un tempo c’era un querceto) fu chiamata piazza “Guglielmo Marconi”.
Il 10 giugno 1940 scoppiò la seconda guerra mondiale.
Subito scattò nei Comuni la macchina delle misure belliche: furono distribuite le carte annonarie e furono compilati gli elenchi degli obbligati alla mobilitazione civile, fu imposto l’oscuramento in tutti i centri abitati. Cominciarono presto i bombardamenti aerei perché la provincia di Siracusa era molto vicina all’isola di Malta, allora possedimento inglese. Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio Floridia fu bombardata, morirono due persone che abitavano al Corso, due bombe fortunatamente non esplosero.
Tra il 9 e il 10 luglio 1943 le truppe angloamericane sbarcarono nei pressi di Siracusa dalla parte del Capo Murro di Porco e dei Pantanelli. Nel territorio di Floridia avvenne un doloroso episodio. Una famiglia si era rifugiata nella campagna della contrada Taverna riparandosi sotto un albero di carrubo, ma lo scoppio improvviso di una granata la sterminò quasi interamente, si salvò una sola persona, Vincenza Latina, che venne poi additata col triste appellativo di “Nzula de morti”.
L’arrivo delle truppe alleate ci salvò dalla fame. In una casa di campagna in contrada “Scorciacoppole” lungo la strada statale che conduce a Siracusa gl’inglesi misero su dei magazzini in cui ammassarono viveri e capi di vestiario.
I floridiani più ardimentosi riuscirono ad introdurvisi allargando il reticolato e cominciarono ad alleggerire il deposito vendendo la refurtiva a prezzi di mercato nero. Barattoli di carne, di aringhe, di margarina, scatole di legumi vennero ad allietare le nostre mense; con le moschettiere dei guantoni dei soldati motociclisti ci facemmo le scarpe, con la stoffa dei paracadute, che risultò indistruttibile , ci cucimmo la biancheria e i vestiti per l’estate. La più abile in questo mercato nero, detto comunemente “intrallazzo,” era una vecchia cieca di un occhio, soprannominata a “surdata”, che abitava nella strada dei “ficazzi” in fondo alla via Galilei; bisognava andarci in tutta segretezza, di sera, munite di lampadine tascabili perché nelle strade di Floridia c’era ancora l’oscuramento.
L’8 settembre dello stesso anno fu firmato l’armistizio in un casolare nei pressi di Cassibile.
La direzione del nostro Comune fu tenuta prima da un ufficiale inglese l’A.M.G.O.T., e poi da un Commissario prefettizio. Finita la guerra, si prepararono le elezioni con le liste dei candidati dei vari partiti politici. Il 9 aprile 1946 s’insediò il nuovo Consiglio Comunale e fu eletto Sindaco il professore Orazio Scalorino, a cui si deve, fra le altre benemerenze, la costruzione delle case popolari e della villa comunale in contrada Santuzzo.
Nel boom economico che seguì dopo i duri anni della guerra si svilupparono le attività economiche e commerciali e crebbe anche la popolazione; nel censimento del 4 novembre 1951 gli abitanti di Floridia erano 15.391. Anche il territorio si è notevolmente esteso, sia dalla parte del Corso in direzione di Siracusa, sia nelle fasce laterali, inglobando i vasti quartieri di Taverna e Vignalonga; a metà strada fra Floridia e Solarino è sorto da qualche decennio il quartiere Marchesa con una vasta estensione e una discreta organizzazione stradale.
Attualmente, secondo il censimento dell’ottobre 2011, Floridia ha una popolazione di 22.685 abitanti e una superficie totale di Km2 26,48.
Voglio concludere con le parole con cui si conclude l’opera del nostro storico Vittorio Guardo: “Possa l’Italia trovar sempre in Floridia i suoi figli migliori”.
Filomena Migneco Frasca